venerdì 22 aprile 2016

La malattia morale dell’Europa

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1. Prima le carrette del mare stracariche di disperati, uomini, donne e bambini, con gli innumerevoli naufragi cui abbiamo assistito quasi in diretta, poi le lunghe marce dei profughi lungo i percorsi balcanici, lungo le ferrovie e le strade secondarie, in mezzo ai campi. Abbiamo visto pullman e treni bloccati, persone identificate con un numero scritto sul braccio. Abbiamo visto i blocchi alle frontiere, quei blocchi che non ci dovevano più essere, le barriere di filo spinato, quello affilato (razor barbed wire), fatto apposta per tagliare e strappare. Abbiamo visto accampamenti di povere tende, pieni di fango, di uomini, donne e bambini in attesa di passare la frontiera. E poi bambini incamminati sull’asfalto, viaggiare da soli, con il corredo di una coperta. Abbiamo visto gli sgombri degli accampamenti, gli scontri dei profughi con le forze dell’ordine a suon di manganellate e gas lacrimogeni. Abbiamo visto un gran numero di sventurati che hanno perso la vita per attraversare un fiume, per saltare un muro, per salire su un camion, per viaggiare nascosti dentro a terribili e mortali contenitori. Tutto questo in Europa.
 
2. Di fronte a tutto ciò l’Europa sembra oggi un gigantesco paese inebetito, agitato dalle passioni estreme, senza testa, senza cuore e senza memoria. Un paese che non capisce, incapace di agire in modo efficace, quasi come fosse paralizzato. Eppure quel che accade in questi tempi non è certo una novità. Forse più di ogni altro paese, l’Europa ha conosciuto i disastri della guerra e ha conosciuto su vasta scala proprio il fenomeno dei profughi. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale milioni di profughi hanno percorso il paese in ogni senso. L’Europa, per di più, ha conosciuto tutte le atrocità possibili e immaginabili, tanto da aver contribuito, suo malgrado, a determinare la figura giuridica dei «crimini contro l’umanità».
Abbiamo poi vissuto una terza guerra non combattuta, la Guerra fredda, durata una quarantina d’anni, ma che, per molti aspetti, ci ha consegnato panorami del tutto simili a quelli di una guerra calda. Forse più di ogni altro paese l’Europa poi ha conosciuto le restrizioni dei confini, i reticolati e i muri: la cortina di ferro, prototipo di tutti i confini ostili, e il muro di Berlino, prototipo di tutti i muri divisivi. E i muri li abbiamo anche esportati, abbiamo fatto scuola.
Nessuno più si ricorda l’Europa spaccata in due, Berlino tagliata a metà, il ponte aereo, i missili puntati da una parte e dall’altra, le esplosioni “sperimentali” delle testate nucleari a scopo intimidatorio, le spie, i passaporti e i controlli alle frontiere. Governi autoritari di qua e, soprattutto, al di là della cortina di ferro. Abbiamo visto processi arbitrari, sparizioni, omicidi politici, imprigionamenti, torture, campi di detenzione, violazioni dei diritti più elementari in tutti i sensi. Abbiamo visto le invasioni con i carri armati. Abbiamo visto, nel cuore della civilissima Europa, qualcuno che si è dato fuoco per protestare. Tutto questo è finito soltanto tra il 1989 e il 1994. Abbiamo davvero la memoria corta. Eppure c’eravamo. Abbiamo visto tutto. Lo spettacolo ci è stato servito, giorno dopo giorno, dai giornali, dagli schermi della televisione, mentre eravamo seduti sulle nostre poltrone. Abbiamo visto e abbiamo dimenticato. E quelli che allora ancora non c’erano, se solo avessero un qualche interesse per il passato recente, non avrebbero difficoltà a trovare una grande abbondanza di documenti. Gli archivi sono ancora tutti lì che aspettano.
 
3. La domanda, forse un po’ retorica, forse un po’ ingenua, che s’impone a questo punto è se i popoli siano in grado di imparare qualcosa dalla loro storia, o se invece non siano condannati a ripeterla all’infinito, ripetendo sempre gli stessi errori. Sono davvero così stupidi, cioè poco intelligenti, incapaci di apprendere, quelli che si fanno chiamare enfaticamente “popoli”?
 3.1. Come si spiega, ad esempio, che la cattolicissima Polonia, paese che nella storia ha sempre avuto confini incerti, paese da sempre spartito, invaso, oppresso, che nel secondo conflitto mondiale ha dato un tributo terribile di morti, che si è trovato invaso alternativamente da nazisti e sovietici, che ha vissuto in prima persona l’abominio dei campi e lo sterminio degli ebrei, un paese che poi è stato il porta bandiera della lotta contro l’oppressione sovietica (vi ricordate di Solidarność?), ebbene, come si spiega che la Polonia sia oggi uno dei paesi europei più xenofobi? Il partito politico oggi egemone in Polonia si chiama Diritto e Giustizia (PiS). Si tratta di un partito politico di destra, conservatore, populista, clericale ed euroscettico. Uno dei tratti caratteristici del suo programma è la proposta d’introduzione della pena di morte, cosa peraltro non più ammessa in Europa. Al PiS appartengono l’attuale Presidente polacco Andrzej Duda e il Primo Ministro Beata Maria Szydło, in carica dal 2015. Costei, ironia della sorte, è nata a Oświęcim. Per chi non lo sapesse, Oświęcim è il nome polacco di Auschwitz.
3.2. E che dire della cattolica Austria che è stato il paese dell’Anschluss alla Germania nazista approvato con un plebiscito al 99,7%. L’Austria è il paese che ha visto gli orrori di Mauthausen, dai quali qualcosa dovrebbe avere senz’altro imparato. L’Austria peraltro è oggi governata da un governo progressista. Dopo le elezioni politiche del 2013 in Austria c’è un governo di coalizione tra  SPÖ (socialdemocratici) e ÖVP (popolari cristiano - sociali). Capo del governo è il socialdemocratico Werner Faymann. Tuttavia, poiché siamo in procinto delle elezioni, il governo progressista austriaco non ha trovato nulla di meglio che rincorrere le politiche xenofobe della destra. Così l’Austria è diventato oggi il paese dove si ricostruiscono i posti di blocco e i reticolati alle frontiere con la benedizione dei cristiano – sociali e dei socialdemocratici.
3.3. E l’Ungheria? Forse vale la pena di ripercorrere alcune tappe, troppo spesso dimenticate, della storia del paese europeo più xenofobo e più ostile ai profughi, che ha costruito chilometri di filo spinato lungo le sue frontiere. L’Ungheria divenne indipendente dal 1918 e, dopo la breve rivoluzione comunista di Béla Kunh, il potere fu preso dall’ammiraglio Horthy che diede vita a un regime conservatore e autoritario sostenuto dai grandi proprietari. Il regime sostenne i nazisti in cambio di vantaggi territoriali. Solo nel 1944 si ebbe l’invasione nazista e, in conseguenza, un colpo di stato fascista delle Croci frecciate di Szálassy. Il nuovo regime seppur di breve durata non mancò di collaborare allo sterminio degli ebrei ungheresi. Dopo la guerra, la nuova Repubblica cercherà di voltar pagina e all’inizio ebbe una spinta popolare. L’Ungheria tuttavia venne progressivamente a cadere nell’orbita staliniana, fino alla rivolta di Budapest del 1956, soffocata però dai carri armati sovietici. Nonostante ciò l’Ungheria rimase fedele al blocco sovietico e partecipò, nel 1968, alla repressione della Primavera di Praga.
Le prime elezioni libere dopo la caduta del muro, nel 1990 furono vinte dai conservatori. Dopo l’ingresso nella UE nel 2003, la politica ungherese fu sempre più dominata dalla figura ultra conservatrice di Viktor Orbán, l’uomo del filo spinato. Dalle elezioni del 2014 l'Ungheria è governata da una coalizione tra Fidesz (Unione Civica Ungherese) e KDNP Partito Popolare Cristiano Democratico). Il Primo Ministro confermato è tuttora Viktor Orbán, leader di Fidesz, un partito conservatore, populista e cristiano - membro tra l’altro del PPE). L'altro partito della coalizione è il KDNP di orientamento cristiano democratico. La maggioranza che ha costruito lo scandaloso reticolato si dichiara dunque cristiana oltre che democratica e lo stesso si presume per la maggioranza dei suoi elettori.
3.4. Non possiamo non citare poi gli tutti quegli Stati nati dalla ex Jugoslavia. Bisogna ricordare, anche se non sembra vero, che nella ex Jugoslavia c’era stata una vittoriosa resistenza contro il nazismo. L’unica resistenza europea vittoriosa sui campi di battaglia che ha costruito uno Stato a sua immagine e somiglianza. Una resistenza vittoriosa che ha determinato la nascita del socialismo “dal volto umano” di Tito, in realtà uno Stato semi totalitario che non ha saputo neppure costruire, nei successivi decenni, un minimo senso di comunità nazionale. Tanto che la ex-Jugoslavia ha conosciuto, negli anni Novanta, una travagliata e lunga guerra civile dove si sono praticati i massacri etnici e i crimini contro l’umanità. Oggi, della ex Jugoslavia, solo la Slovenia è riuscita a entrare nelle UE.  La frontiera europea da quelle parti è dunque alquanto irregolare e frastagliata, dovuta al fatto che molti paesi (Serbia, Montenegro, Bosnia, Kosovo, Albania e Macedonia) non possiedono ancora i requisiti per entrare a far parte della UE. Si tratta di paesi instabili, terre che da sempre sono frontiera tra diversi mondi e diverse etnie. Terre dove la democrazia incontra ostacoli e difficoltà e dove però si coltivano con cura i più svariati nazionalismi, ormai fuori tempo massimo.
3.5. Tra i paesi xenofobi della penisola balcanica si sta distinguendo in particolare la Macedonia, candidato all’ingresso nella UE. L'attuale primo ministro macedone, dal gennaio 2016, è Emil Dimitriev, conservatore, segretario dell’Internal Macedonian Revolutionary Organization - Democratic Party for Macedonian National Unity (VMRO-DPMNE). Un partito dal nome molto lungo.[1] Si tratta di un partito che si proclama cristiano e democratico, sebbene abbia un carattere fortemente nazionalistico. Quello attuale è un governo ad interim, costituitosi in seguito a una grave crisi politica interna, e il paese andrà alle elezioni nel giugno 2016. La destra quindi anche qui cerca di cavalcare la questione dei profughi contro il SDSM (Social Democratic Union of Macedonia) partito rivale di orientamento socialdemocratico.
3.6. E che dire della civilissima Danimarca che si trova oggi sotto la guida di un governo di coalizione di destra guidato dal primo ministro Lars Lokke Rasmussen (del Partito Liberale), che si regge però sull’appoggio esterno dello xenofobo Partito del popolo (DF) di Kristian Thulesen Dahl. Il DF si oppone in particolare all'immigrazione, specialmente da paesi musulmani, considerati culturalmente incompatibili con la società danese. La coalizione guidata da Rasmussen ha fatto recentemente approvare una legge piuttosto ripugnante, che fa tornare alla memoria ben altri tempi, che prevede il sequestro dei beni personali ai migranti che fanno richiesta di asilo. La motivazione è di far fronte alle spese della loro accoglienza.
E che dire poi della Francia, terra della laicità, della liberté, egalité e fraternité che pure ha fatto uno sforzo per integrare al proprio interno le diverse etnie. Ebbene, la Francia ha generato un partito xenofobo dalle percentuali a due cifre, la cui rappresentante aspira ora alla Presidenza della Repubblica. Lo stesso discorso vale per quasi tutti gli altri paesi, dove le correnti xenofobe sono ormai diffuse e notoriamente in crescita. Lo stesso vale anche per l’Italia dove la destra xenofoba, non fosse per le sue divisioni interne, avrebbe probabilmente la maggioranza.
3.7. A partire da questa rapida e certo incompleta rassegna di casi recenti più o meno eclatanti di euro-xenofobia, possiamo  affermare, con un qualche fondamento, che i paesi dell’Europa che nel secondo conflitto mondiale e poi nella Guerra fredda hanno subito le peggiori forme di oppressione e i maggiori disastri, i paesi che si sono trovati spesso dalla parte sbagliata, quelli che avrebbero dovuto imparare più duramente dai propri errori, sono oggi anche i paesi più retrivi, i paesi più inospitali, i paesi più sordi al destino dei profughi. In altri termini, i paesi che avrebbero avuto più ragioni per ricordare pare invece abbiano fatto di tutto per dimenticare. Oppure hanno adottato uno schema di memoria a compartimenti stagni: quel che è successo allora non c’entra nulla con quel che succede oggi. I popoli che solitamente sono così pieni di sé, così pieni del loro orgoglio nazionale e delle loro identità, delle loro narrazioni ancestrali, in certi casi mostrano di avere la memoria davvero molto corta.
 
4. Una certa sinistra nostrana ci ha abituati a prendercela con le classi dirigenti europee, con la burocrazia di Bruxelles, con le istituzioni finanziarie, con il cosiddetto neoliberismo. Con il finanzcapitalismo. Spesso l’Europa è rappresentata come un oscuro manipolo di complottisti che tramano per l’affermazione dei loro interessi. Ebbene, una volta tanto sembra proprio che la colpa non possa essere addossata alla finanza e all’economia. Gli stati europei bene o male sono democratici, sono proprio i popoli dell’Europa che eleggono i parlamenti e i governi i quali poi chiudono le frontiere, costruiscono i reticolati e manganellano i profughi. Nell’Europa democratica ci sono i fili spinati democratici e, talvolta, come s’è visto, anche quelli socialdemocratici. Sono, ahimè, le maggioranze a essere responsabili di questa svolta retriva. Maggioranze che guardano solo all’immediato, che sono ignoranti (nel senso che ignorano quel che dovrebbero sapere), che hanno poca memoria. Si dice che i governi abbiano paura del populismo. Il problema è che i populisti non fanno altro che dare voce pubblica, libero sfogo, ai sentimenti più profondi che allignano tra le masse. Il populismo è solo il rivelatore di un sentimento radicato di particolarismo e di esclusione che ormai serpeggia ovunque. Diciamolo pure in un altro modo, i governi sanno benissimo che per restare in sella bisogna tener conto della pancia dei popoli. Poiché l’Europa è popolata di maggioranze arretrate, i sistemi politici europei non possono fare altro che produrre risposte politiche di chiusura. I sistemi politici democratici europei non fanno che amplificare gli egoismi dei popoli. Al punto da anticipare i peggiori egoismi dei propri popoli per mere convenienze elettorali. Non sono i popoli che sono schiavi della propaganda, sono i politici che vanno a ruota, al seguito dell’immaturità delle masse dei loro rispettivi paesi.
 
5. Così questa Europa imbelle, schiava delle maggioranze immature, non ha trovato di meglio che usare l’arma dello scambio di danaro per tentare di allontanare  da sé la questione dei profughi siriani. Di qui quell’assurdo patto con la Turchia, paese dalla già incerta democrazia, che in cambio di denari, calcolati nell’ordine dei miliardi, e della velocizzazione delle pratiche per il suo ingresso nella UE, dovrebbe fare il lavoro sporco di gestire il traffico dei profughi siriani. Piuttosto di darsi una politica estera degna di questo nome, piuttosto che darsi un’intelligence europea e una forza armata europea, piuttosto di procedere speditamente nel processo di unificazione, piuttosto di agire in prima persona garantendo l’asilo a chi ne ha diritto, si preferisce rinviare il tutto a tempi migliori e demandare le urgenze a terzi poco affidabili. Pagando in contanti. Quella dell’Europa somiglia oggi a una gigantesca replica della politica dell’appeasement, alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Un paese d’irresponsabili che non ha il coraggio di fare quel che si dovrebbe. Se Roosevelt avesse ragionato come ragiona oggi in politica estera la UE, saremmo ancora tutti in camicia bruna, saremmo forse qualcosa di simile alla Corea del Nord.
 
6. Di fronte alle maggioranze arretrate anche le religioni sono state costrette a recedere, a tradire i loro principi e valori più profondi e conclamati. Abbiamo visto che molti dei governi più xenofobi della UE sono sostenuti da partiti che spesso si rifanno al cristianesimo o al cattolicesimo. Anche le religioni dunque mostrano i loro limiti e pare non sappiano più cosa dire e cosa fare, tranne la facile retorica degli appelli e delle prediche. Ricordiamo le polemiche veementi di alcuni nostri alti prelati e di alcuni nostri atei devoti che si strappavano le vesti poiché nella Costituzione europea non era stato inserito il preambolo sulle origini cristiane dell’Europa.  Ebbene, come chiediamo agli islamici europei di scendere in piazza contro il terrorismo islamista per dissociarsi, aspettiamo ora di vedere le masse cristiane e cattoliche scendere in piazza contro i propri governi xenofobi, magari con lo slogan «Not in My Name!». Tanto perché queste supposte radici cristiane si vedano, una volta tanto - a meno che il prototipo del cristiano europeo non sia Viktor Orbán.  La cristiana Angela Merkel, dopo la sua recente apertura ai profughi si è tirata addosso un sacco di critiche in patria e ha dovuto aggiustare il tiro. Papa Francesco ha invitato tutte le parrocchie italiane a ospitare le famiglie dei profughi: quante hanno risposto? Alla facile retorica di marca cristiana e cattolica corrispondono nei fatti (nelle cabine elettorali e nelle piazze) ben altri comportamenti. Si chiama ipocrisia.
E non è neanche vero del tutto che i paesi più secolarizzati, i paesi più laici, siano i paesi più accoglienti. Evidentemente anche la morale laica, su questo punto, lascia alquanto a desiderare. La laica Francia, com’è stato ricordato, ha generato un partito xenofobo dalle percentuali a due cifre. Anche la Francia progressista di François Hollande non ha una politica di respiro europeo sui rifugiati, mentre i blocchi alle frontiere e gli sgomberi li abbiamo visti anche lì. L’annoso dibattito sulle radici morali e culturali dell’Europa, se si tratti di radici religiose o di radici laiche, mostra così tutta la sua vacuità. Più che a una radice o a un’altra, sembra che ci troviamo piuttosto di fronte a una totale assenza di radici autentiche.
 
7. Questa condizione odierna in cui si trova l’Europa può essere descritta e compresa nei termini di una profonda malattia morale. Intendo con ciò un grave disturbo della moralità collettiva che impedisce a una comunità di condividere un complesso di principi e di regole di tipo universalistico, capaci fondare compiutamente un concetto maturo di umanità.[2] Una comunità sociale e politica che nei fatti sia profondamente divisa sui principi di fondo che definiscano cosa debba intendersi per umanità non può che essere una comunità fittizia, un artificio di comodo per favorire, al più, traffici e commerci, non certo una comunità morale. Se l’Europa spesso si riduce a essere di fatto un’istituzione dal carattere strumentale è perché un’altra Europa proprio non c’è. Se c’è, è in netta minoranza e non è in grado di contare più di tanto.
Le malattie morali non si curano con le consultazioni democratiche, perché queste non possono fare altro che rispecchiare implacabilmente la malattia stessa. Le malattie morali si curano attraverso la maturazione morale degli individui. Si curano istituendo un circuito virtuoso tra la cultura civica che dovrebbe salire dal basso e la pedagogia istituzionale che dovrebbe scendere dall’alto. Purtroppo nei paesi europei, essendo questi relativamente nuovi o del tutto nuovi alla democrazia, la cultura civica diffusa lascia alquanto a desiderare e la pedagogia istituzionale fornisce spesso esempi che peggio non si potrebbe. Gli intellettuali europei, il mondo della cultura, sembrano tuttora incapaci di uscire dal buco delle loro prospettive nazionali per riuscire a pensare su scala continentale e globale. Quel che ci servirebbe davvero, cioè un esercizio di meditazione e apprendimento a partire dalla nostra storia recente, lo stiamo evitando, lo stiamo mettendo da parte accuratamente, lo stiamo rimuovendo.
 
8. L’Europa è nata dalla resistenza contro il fascismo, contro il nazismo, ma anche dalla resistenza, assai meno celebrata, contro il socialismo e il comunismo reali. Una resistenza lunga che, oltrecortina, si è prolungata fino alla caduta dei regimi comunisti. Mi è capitato, in uno scritto di molti anni fa, di definire e considerare anche il movimento internazionale del Sessantotto come una resistenza alla guerra fredda.[3] Ebbene, se l’Europa odierna è l’esito di tutte quelle complesse e lunghe resistenze, allora dobbiamo ammettere che qualcosa non ha funzionato. Le resistenze evidentemente non sono bastate. Le resistenze forse hanno fallito, forse di fatto sono state sconfitte. Ma non hanno fallito per il motivo cui si pensa comunemente. Il vero problema dell’Europa non è il finanzcapitalismo, come molti si ostinano ancora a credere. È la pancia dei popoli. La loro penosa arretratezza, la loro meschinità, la loro mancanza di memoria, la loro ipocrisia religiosa, i loro piccoli nazionalismi, la loro incerta definizione della stessa nozione di umanità.
 
9. I nostri genitori hanno combattuto il nazismo e il fascismo. Molti di noi hanno continuato a dirsi e a sentirsi antifascisti. Molti di noi hanno appoggiato le lotte contro i regimi dell’Est, dalla Rivoluzione ungherese del 1956 alla Primavera di Praga, da Solidarność fino alla caduta del muro di Berlino. Ma avevamo certo le idee più chiare su quel che era giusto rifiutare che non sul modello di società da costruire. Ci siamo schierati e abbiamo combattuto contro qualcosa. Ora, è forse giunto il momento di aprire il dibattito per definire con chiarezza per cosa ci vogliamo impegnare, per cosa vogliamo esistere come società civile europea. Quale modello di umanità ci ispira, quale modello di umanità vogliamo costruire. I profughi che corrono per le strade d’Europa, quelli che bussano alle porte dell’Europa, oggi ci impongono, solo con il fatto della loro presenza, a riaprire quel dibattito che non abbiamo mai veramente iniziato o che, stupidamente, avevamo addirittura creduto concluso. I profughi sono lo specchio nel quale si riflette il nostro ancora incerto, immaturo e contradditorio modello “europeo” di umanità. Questa dunque è la domanda alla quale davvero non possiamo più sfuggire: chi siamo davvero e che modello di umanità vogliamo. Purtroppo, oggi ci troviamo a dover affrontare e definire questa questione non in astratto, non in termini filosofici o letterari, ma confrontandoci concretamente e direttamente con la pancia dei popoli, con la zavorra delle maggioranze arretrate, non solo di casa nostra ma di tutto un continente. Buon 25 aprile.
 
      Giuseppe Rinaldi
      21/04/2016
 
 
OPERE CITATE
 
2010   De Monticelli, Roberta
La questione morale, Raffaello Cortina, Milano.
 
1999   Rinaldi, Giuseppe
Il Sessantotto nella situazione internazionale, in Arnoldi, Mario  &  Rinaldi, Giuseppe   (a cura di), Trent’anni dopo. Due saggi sul Sessantotto, Edizioni dell'Orso, Alessandria.
 
 
 
 
NOTE
 
[1] Uso il nome in inglese, onde evitare il cirillico.
[2] Sulla nozione di immaturità morale collettiva vedi De Monticelli 2010.
[3] Cfr. Rinaldi 1999.