giovedì 23 aprile 2015

La coscienza che ci rimane

Coscienza che ci rimane

1. Fino (*) a qualche tempo fa si era soliti pensare alla filosofia come a un impero in sfacelo che stava perdendo le sue province. Le province erano i territori occupati progressivamente dalla scienza sperimentale. In contrasto con questa tendenza, nel campo delle neuroscienze e della filosofia della mente si sta oggi assistendo a un’interazione sempre più stretta tra scienza e filosofia: i risultati della scienza sperimentale sono ripresi dalla filosofia che s’incarica di esplorarne le implicazioni più generali, mentre le ipotesi che nascono dal dibattito filosofico servono da guida per la progettazione di nuove indagini. Naturalmente, tutto ciò avviene nel mondo anglosassone. Nel nostro Paese la ricerca scientifica è stata ridotta ai minimi termini da una politica dissennata e la maggior parte dei filosofi si è fermata alla dialettica dei distinti e al dileguamento dell’essere (e ciò, una volta tanto, non è colpa della politica).

 

2. Negli ultimi decenni, grazie anche agli avanzamenti delle tecniche di neuroimaging (CAT, PET, fMRI), sono stati realizzati enormi progressi nello studio del sistema nervoso, del cervello e delle sue funzioni; i progressi sono stati così significativi che ormai stanno coinvolgendo anche temi tradizionalmente lasciati alla filosofia, come la mente e la coscienza. Questa messe di risultati ha indotto cambiamenti sostanziali nel panorama filosofico più avanzato, dando adito allo sviluppo di nuove varie forme di fisicalismo, di naturalismo, di funzionalismo, sempre più strettamente intrecciate alla prospettiva evoluzionistica.[1] Una sintesi davvero interessante sullo stato attuale della ricerca intorno alla natura della mente e della coscienza è contenuta in Self Comes to Mind, l’ultimo libro, ormai neppur recentissimo, di Antonio Damasio.[2] L’Autore è noto anche nel nostro Paese per i suoi studi sul cervello e per avere prodotto alcune opere di grande successo come L’errore di Cartesio, Alla ricerca di Spinoza e Emozione e coscienza.

 

3. La posizione di Damasio nell’ambito delle neuroscienze può essere ascritta alla corrente conosciuta come NCCs (Neural Correlates of Consciousness). Si tratta di un orientamento che sta concentrando i propri sforzi di ricerca proprio intorno al gap che ancora sussiste (anche se si va vieppiù riducendo) tra la descrizione dei processi neurali e quella dei processi mentali, in terza e in prima persona. Pur non rinunciando a entrare nel campo proprio dell’analisi filosofica, Damasio, nell’elaborazione delle sue teorie, si fa guidare dai dati osservativi e sperimentali. Le fonti empiriche che egli impiega sono sostanzialmente di quattro tipi: l’introspezione, lo studio sperimentale sul cervello, l’analisi clinica delle disfunzioni cerebrali e la biologia evoluzionistica comparata. Nel suo ultimo volume convergono indubbiamente le teorie già enunciate nei lavori precedenti, anche se quivi compare uno sforzo di rigore e di sintesi, incentrato proprio intorno alla questione della coscienza.

 

4. Addentrandoci nell’argomento, occorre anzitutto precisare che i due termini “mente” e “coscienza”, almeno nel campo delle neuroscienze, non sono affatto sinonimi. La nozione di mente è assai generica e la maggior parte degli studiosi oggi ritiene che si possa attribuire una mente anche agli animali e, entro certi limiti, a certi congegni automatici.[3] Anche la coscienza non sembra essere propriamente tipica dell’uomo: non c’è dubbio infatti che gli animali superiori abbiano una mente cosciente. Ciò che invece pare tipico della specie umana è l’autocoscienza, cioè la capacità di riflettere intorno alla propria stessa attività riflessiva. Tutto ciò suggerisce che sussista in natura una progressione in termini di complessità delle menti, cosa peraltro del tutto coerente con la teoria dell’evoluzione. Se questo è vero, la stessa mente autocosciente dovrebbe mostrare, al proprio interno, una strutturazione che conservi le tracce degli stessi stadi dell’evoluzione. Damasio, come si vedrà, sostiene in effetti una simile prospettiva.

 

5. Per comprendere quale sia il significato evolutivo della coscienza, è fondamentale la nozione di rappresentazione intenzionale.[4] Una molecola chimica, nel proprio ambiente, risponde, al più, alla domanda se un’altra molecola si combina o non si combina. Una cellula, grazie alla sua maggior specializzazione, risponde a sollecitazioni più complesse, ad esempio può lasciar passare dalla sua membrana certe sostanze piuttosto che altre, oppure può reagire a un ambiente sgradevole. Negli organismi ancor più differenziati, gli organi di senso e di azione costituiscono delle specializzazioni che permettono di rappresentare e trasformare l’ambiente con maggior efficacia. L’esigenza di una coscienza nasce proprio dalla differenziazione degli organi di senso e di azione e dal bisogno di un loro efficace coordinamento. Anche il vivente più semplice è un sistema che integra i propri organi di senso e di azione. Nell’uomo la mente e la coscienza rappresentano, allo stato attuale, lo sbocco evolutivo di questo bisogno d’integrazione.[5]

 

6. Secondo Damasio, la moneta comune che struttura tutto il sistema delle nostre rappresentazioni è costituita dalle mappe (neural patterns) e dalle immagini (mental patterns): le mappe appartengono al livello di descrizione del cervello, le immagini a quello della mente. Le mappe sono le configurazioni neurali che rappresentano tutti gli stati, interni ed esterni, che l’organismo è in grado di rilevare. Esse assicurano il monitoraggio dell’organismo, la percezione dell’ambiente, il controllo dell’attività e operano comunemente in assenza di coscienza. Al livello di descrizione della mente siamo tuttavia in grado di avere esperienza soggettiva di alcune mappe sotto forma di immagini. Il termine “immagine” va qui inteso in senso ampio, per cui avremo immagini sensoriali, motorie, verbali, e così via.[6] Le immagini, nel loro flusso ininterrotto, determinano gli assetti spaziali e temporali della percezione e il nostro stesso assetto spazio temporale, nonché lo schema corporeo. Tutti i contenuti di cui abbiamo coscienza sono immagini. È della massima importanza considerare che, per Damasio, ciascun’immagine porta sempre associata con sé una o più marche emotive, strettamente connesse alle mappe interne dei sentimenti fondamentali dell’organismo.[7] Le marche emotive, in un certo senso, valutano ciascuna immagine in relazione allo stato interno dell’organismo, contribuendo a determinare così le scelte comportamentali fondamentali.

 

7. Le mappe e le relative immagini costituiscono anche l’architettura di base della memoria. Secondo l’ipotesi della memoria disposizionale,[8] sostenuta da Damasio, noi immagazziniamo, sempre sotto forma di mappe neurali, i procedimenti sintetici per la ricostruzione delle esperienze che abbiamo associato a marche emotive significative. La produzione effettiva delle immagini soggettive (i ricordi) avviene poi attraverso gli stessi moduli percettivi che sono utilizzati nella comune esperienza. Ad esempio, la componente visiva dei ricordi è attualizzata attraverso l’apparato visivo, la loro componente verbale è attualizzata attraverso gli apparati del linguaggio, e così via. Ricordare qualcosa è dunque come rivivere nuovamente quella stessa cosa, in una forma virtuale. Lo stesso meccanismo sarebbe alla base dell’immaginazione.

 

8. Ciò detto, disponiamo ora degli elementi di base necessari per una migliore comprensione dei meccanismi della coscienza e dell’autocoscienza. Secondo Damasio, la coscienza si determina quando, all’interno di una mente vigile, si genera una funzione di integrazione che egli chiama self.[9] L’essenza del self è la focalizzazione della mente sull’organismo fisico che essa abita e sulle sue interazioni con il mondo esterno. L’aspetto più caratteristico della teoria di Damasio è che il self viene generato a stadi successivi intorno a un nucleo di base, costituito dalle immagini delle funzioni biologiche fondamentali, che risiede non nella corteccia, ma nel tronco encefalico. “Lo stadio più semplice emerge dalla parte del cervello che rappresenta l’organismo (il proto-self) e consiste nella raccolta di immagini che descrivono aspetti relativamente stabili del corpo e nella generazione di sentimenti spontanei del corpo in vita (sentimenti primordiali). Il secondo stadio è il risultato dell’istituzione di una relazione tra l’organismo (rappresentato dal proto-self) e qualsiasi parte del cervello che rappresenti un “oggetto da conoscere”. Il risultato è il core self. Il terzo stadio fa sì che oggetti multipli, precedentemente immagazzinati come esperienza di vita o come anticipazione del futuro, interagiscano con il proto-self e producano un’abbondanza di impulsi del core self. Il risultato è il sé autobiografico. Tutti questi tre processi sono costruiti in spazi di lavoro del cervello separati ma coordinati”.[10]

 

9. Quello che soggettivamente a noi pare costituire un unico livello di coscienza (dominato prepotentemente dal nostro sé autobiografico) si rivela, in realtà, come un costrutto a più strati, dove la parte fondante, il proto-self, è evolutivamente la più arcaica e, forse proprio per questo, anche la più sfuggente e, per noi, la meno interessante. Esso costituisce il riferimento corporeo di tutte le altre mappe (percezioni e comportamenti compresi), ci fornisce il senso di un centro unitario, il senso di essere in prima persona, in altri termini il nostro sentimento soggettivo.[11] Il core self è invece costruito in relazione con l’attività percettiva e, sempre sulla base del proto-self che resta il riferimento corporeo fondamentale, produce l’esperienza fenomenica come riferita a un unico centro, il nostro essere qui e ora nel flusso spaziale e temporale delle percezioni.[12] Insomma, il core self permette la costituzione di ciò che i poeti hanno definito come l’attimo fuggente.

Non saremmo tuttavia propriamente umani se non riuscissimo a estendere la nostra esperienza soggettiva nel passato (la memoria) e nel futuro (il progetto). Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo ricorrere ai depositi di esperienza che sono localizzati nella corteccia, la parte del cervello evolutivamente più recente. Ricorrendo all’esperienza memorizzata (il complesso degli elementi della nostra esperienza individuale, quella che alcuni psicologi chiamano memoria episodica) viene così generato un self autobiografico. Esso corrisponde, fondamentalmente, a ciò che definiamo come la nostra identità ed ha una struttura essenzialmente ricostruttiva e narrativa.

 

10. I tre self operano congiuntamente e costituiscono il riferimento unitario di uno spazio di lavoro della nostra mente, una specie di working memory che funziona a breve termine, in cui convergono le sensazioni fondamentali dello stato dell’organismo, in cui vengono elaborate le immagini (visive, uditive, emotive, verbali, concettuali,…), in cui si provvede a stabilire una gerarchia tra le varie attività, processi e decisioni, in cui trovano posto le nostre narrazioni identitarie. In tal modo, pur nel flusso sempre mutevole dell’esperienza fenomenica, viene generato e mantenuto un sentimento fondamentale di unità e continuità con noi stessi. In base allo studio degli effetti di danni cerebrali parziali, si è potuto osservare come le varie funzioni che contribuiscono alla generazione della coscienza, relativamente indipendenti tra loro, possono venire a mancare selettivamente, dando luogo a una serie di disturbi della coscienza, più o meno rilevanti, resi ormai celebri dalla letteratura neuroscientifica.[13]

 

11. La teoria della coscienza di Damasio (e più in generale la prospettiva che emerge dalle ricerche sui NCCs) è densa di conseguenze, sia dal punto di vista filosofico che dal punto di vista della nostra ordinaria folk psychology. Emerge intanto una descrizione piuttosto persuasiva della fondamentale unità e continuità di corpo e coscienza. Il dualismo, la teoria delle due sostanze (il corpo e lo spirito - il corpo e l’anima, se si vuole) che ha tenuto banco per secoli in Occidente, è destituito di fondamento, è anzi diventato un serio ostacolo per chi voglia studiare i NCCs. In secondo luogo, la mente e i vari tipi di self che vi vengono generati sono costituiti di routine,[14] processi che hanno una base fisiologica in specifiche mappe neurali, hanno una relativa indipendenza tra loro e sono strettamente interconnessi con altri processi in una rete intricata ma sostanzialmente priva di gerarchie. Non c’è dunque un processo più fondamentale di altri, non c’è alcun manovratore (non c’è alcun fantasma dentro la macchina).

 

12. Ma c’è una conseguenza ancor più rilevante. Il fondamento del sentimento soggettivo (il punto di vista del soggetto, quello che Cartesio chiamava Io penso) evolutivamente non sta in alto (nella corteccia), ma sta in basso (nel tronco encefalico). Il proto self e il sé nucleare sono dei semplici (si fa per dire) organi elaboratori d’informazione, probabilmente noiosamente uguali in tutti gli umani. Quel che ci contraddistingue davvero come individui è il sé autobiografico, sono le scorie delle nostre esperienze, le particolarità che accumuliamo e che trovano posto, come memoria disposizionale, nella parte evolutivamente più recente del cervello. Ma questo labile deposito d’identità individuale è costretto continuamente a passare per il collo di bottiglia dei meccanismi elaborativi e rielaborativi che hanno come riferimento prospettico il proto-self e il sé nucleare. Per sapere chi siamo dobbiamo continuamente concentrarci su noi stessi, rielaborare i nostri ricordi, dobbiamo continuamente parlare a noi stessi, dobbiamo continuamente usare come riferimento gli oggetti che ci circondano, dobbiamo continuamente interagire con la cultura entro cui siamo cresciuti e con la società che ci circonda. Insomma, siamo caratterizzati da una marcata esternalità[15] del self autobiografico e questo fatto è ciò che fa di noi degli animali culturali per eccellenza.

 

13. Questi risultati, dal punto divista filosofico, segnano la crisi di ogni essenzialismo, più o meno mascherato che sia. Non esiste qualcosa come la nostra autentica identità poiché riformuliamo continuamente quel che crediamo di essere; come dice il poeta, siamo fatti della medesima materia di cui sono fatti i sogni. Anche le deliberazioni morali non corrispondono ad alcuna nostra essenza morale – quale che essa sia – ma sono costrutti che produciamo all’occorrenza, tenendo conto, certo, delle esperienze passate ma anche del contesto ambientale e, soprattutto, delle routine comportamentali che l’evoluzione ci ha fornito. Per questo siamo così istintivi, così influenzabili e così mutevoli, così incerti e così bisognosi di dare un senso alle cose, e così fondamentalisti quando crediamo di aver trovato il senso delle cose. I vincoli esterni, come il mondo fisico, il linguaggio, la logica, la ragione, l’abitudine, i costumi e le istituzioni, ci forniscono poi gli schemi preordinati per orientarci, un ambiente abbastanza prevedibile entro cui possiamo operare; un ambiente cui possiamo anche occasionalmente opporci, ma che comunque entra a costituirci fin nell’interno.

 

14. Questi stessi risultati tuttavia segnano anche la crisi di ogni relativismo. Al posto del dileguamento del soggetto, la coscienza che ci rimane è una dura realtà, magari non così definita come avremmo voluto e che potrebbe anche non piacerci, fatta di carne e di ossa, di neuroni, di processi, di routine, d’immagini, di memorie, fino al self autobiografico, fino all’intera cultura e all’intera società che ci comprende, fino all’intera storia naturale di cui siamo un pezzettino. Se è vero che le neuroscienze stanno contribuendo ulteriormente a ridimensionare ogni nostra presunzione infantile, è altrettanto vero che stanno contribuendo a chiarire, con una certa precisione, quale sia la nostra effettiva dimensione, l’unica dimensione che ci è umanamente concessa.

 

7/03/2012

27/12/2016 (rev.)

 

Giuseppe Rinaldi

 

(*) Questo articolo è stato pubblicato il 7/03/2012 sul giornale on-line Città Futura. Questa è una versione rivista il 27/12/2016. Sono stati corretti alcuni errori e sono state fatte alcune minori modifiche.

 

 

OPERE CITATE

 

Damasio, Antonio R., Descartes’ Error. Emotion, Reason, and the Human Brain, Penguin Putnam Inc., New York, 1994. Tr. it.: L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995.

 

Damasio, Antonio R., The Feeling of What Happens, Harcourt, 1999. Tr. it.: Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, 2000.

 

Damasio, Antonio R., Looking for Spinoza. Joy, Sorrow and the Feeling Brain, Harcourt, 2003. Tr. it.: Alla ricerca di Spinoza, Adelphi, Milano, 2003.

 

Damasio, Antonio R., Self Comes to Mind. Constructing the Conscious Brain, Pantheon Books, New York, 2010.

 

Dennett, Daniel C., Kinds of Minds, Basic Books, Harper Collins Publishers, 1996. Tr. it.: La mente e le menti. Verso una comprensione della coscienza, Sansoni, Firenze, 1997.

 

Dennett, Daniel C., Breaking the Spell, Viking Penguin Inc., 2006.  Tr. it.: Rompere l'incantesimo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007.

 

Ramachandran, Vilayanur S., The Tell-Tale Brain, W. W. Norton & Company, 2011.  Tr. it.: L’uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul mistero della natura umana, Mondadori, Milano, 2012.

 

Searle, John R., The Rediscovery of the Mind, Massachusetts Institute of Tecnology, 1992. Tr. it.: La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, Torino, 1994.

 

 

NOTE

[1] Una rassegna critica di questi orientamenti si trova in Searle (1994).

[2] Cfr. Antonio Damasio (2010).

[3] Cfr. Dennett (2007).

[4] Questa nozione è ben spiegata in Dennett (2007).

[5] Come è stato sostenuto da Dennett e da Searle, l’intenzionalità ha un fondamento evolutivo.

[6] È nel passaggio dalle mappe neurali alle immagini che possiamo tuttora a rilevare un gap, nella nostra conoscenza dei meccanismi della mente, tra oggettivo e soggettivo, tra le descrizioni in terza persona e le descrizioni in prima persona.

[7] Cfr. Damasio (2000).

[8] Cfr. Damasio (2000).

[9] È questo il senso del titolo Self Comes to Mind.

[10] Damasio (2010: 180-181).

[11] A questo livello si trova, secondo Damasio, la soluzione al problema posto da Thomas Nagel nel famoso articolo What Is It Like to Be a Bat? e, quindi, la soluzione dell’altrettanto famoso rompicapo filosofico dei qualia.

[12] Trasferito nel linguaggio kantiano, sarebbe come se l’intuizione sensibile fosse direttamente strutturata dall’appercezione trascendentale.

[13] Ne L’errore di Cartesio Damasio ha esaminato dettagliatamente il famoso caso di Phineas Gage. Un’impressionante rassegna ragionata della casistica dei disturbi della coscienza si trova in Ramachandran (2012).

[14] Altri studiosi hanno messo l’accento su questa caratteristica, ad esempio Fodor, con la sua nozione di mente modulare, oppure Minsky, con la sua nozione della società della mente. Si tratta di studiosi che hanno posizioni diverse da quelle di Damasio, ma che comunque, su questo punto, hanno registrato una significativa convergenza.

[15] Nell’ambito della filosofia della mente nordamericana, la prospettiva esternalista è oggi al centro di una notevole attenzione.